InnovAction Stories: Diana Piemari Cereda, “5 errori che una startup non deve commettere”

Giugno 17, 2015
Silvio Gulizia

Diana Piemari Cereda, 28 anni, ha frequentato InnovAction Lab nel 2014. È laureata in Economia e Management con specializzazione per le aziende creative. È vice editor sezione Business di Ninja Marketing, docente di Ninja Academy, startupper, e consulente per internazionalizzazione e business developement per le PMI. Lavora come freelance con focus sull’innovazione, digital PR e strategist a SUKA CREW.

Ho scoperto l’esistenza di Innovaction Lab durante un evento a cui ero andata per Steve Ballmer. In quell’occasione ho sentito parlare per la prima volta Augusto Coppola, che ha spiegato cosa fosse InnLab. A convincermi a candidarmi sono stati però i pitch delle startup che partecipavano all’evento, tutte uscite dal corso che poi avrei fatto anche io.

All’inizio di InnovAction Lab il mio obiettivo era far innamorare qualcuno della mia startup, che aveva già raccolto un piccolo finanziamento, era già stata incubata, con l’obiettivo di allargare il team e sfruttare al meglio il seed ottenuto. Purtroppo non sono stata in grado di convincere altre persone a lavorare sul mio progetto, e mi sono quindi aggregata a un altro team. Una volta iniziata InnovAction Lab mi sono accorta degli errori che avevo commesso, non solo nel proporre il mio progetto, ma anche nel realizzarlo. Man mano che seguivo le lezioni nelle varie sedi universitarie milanesi, mi accorgevo sempre più degli errori che avevo commesso.

Volersi bene è bello, lavorare insieme è diverso. Accettare finanziamenti da friends, family and fools è necessario, all’inizio, ma è opportuno che questi restino meri soci di capitale. Ci possono essere eccezioni, certo, ma in linea generale, fratelli, morosi, cugini, nonne e via dicendo vanno lasciati stare. Altra cosa che ho imparato fin dai primissimi giorni: il numero dei fondatori non deve essere inferiore a tre.

Prima di fondare la mia startup in autunno, dopo aver vinto un bando in luglio, ho passato tutta l’estate a leggere i testi consigliati per aspiranti startupper. Ho realizzato un bel business plan, aiutata da un mio collega in Bocconi (perché io sono più per le chiacchiere che per le tabelle Excel), ipotesi di fatturati stellari, ma nella concretezza nemmeno un ricavo nel bilancio d’esercizio reale.

Durante InnovAction Lab ho imparato che il miglior test per un prodotto sono i clienti paganti. Ho imparato da Tutored, startup uscita dall’edizione Innlab 2014 Roma che ancor prima di andare dal notaio aveva trovato la chiave per fare business, che bisogna confrontarsi con il mercato fin dal giorno zero.

Due cose contano: fatti e numeri. Fare, fatturare, dimostrare l’interesse del target e misurare. Bisogna fatturare e crescere, possibilmente esponenzialmente.

La parte più bella di Innovaction Lab è il confronto durante le prove di pitch, a cui bisogna dedicare il massimo dell’attenzione. È un’esperienza talmente costruttiva che, nonostante fossi dell’edizione di Milano, sono scesa con un’altra ragazza a Roma per seguire i pitch degli altri innlabber. I feedback dei pitch sono la parte più formativa, e non solo quelli relativi alla propria startup, ma tutti, dal primo all’ultimo. E ovviamente vedere i progressi dal primo pitch in aula al palco dell’Auditorium per me è stato davvero una forte emozione. Sconosciuti che in tre mesi hanno fatto magie!

La cosa forse più importante che ho imparato è che non bisogna avere paura di sbagliare. Non bisogna avere paura di raccontare la propria idea. Non è il momento di essere cauti. Bisogna al contrario buttarsi, occorre essere veloci perché il mondo va veloce, e quello delle startup e dell’innovazione più in generale dovrebbe andare ancora più veloce.

Scritto da:

DIANA PIEMARI CEREDA